Don Tomasz, sacerdote della Diocesi di Fiesole, è nato in Polonia nel 1968, presso Danzica, in una famiglia cattolica praticante.Cresciuto nella campagna polacca, circondato da gente semplice, frequentava la propria parrocchia distante da casa sua ben cinque Km attraversando ogni domenica boschi e prati per raggiungere la chiesa. Se in primavera e in estate questo era un percorso facile e bello tra prati e boschi echeggianti di canti di uccelli, d’inverno, al contrario, era molto difficile, perché la neve spesso superava due metri di altezza e per i bambini era pericoloso; tutto questo diventava però per i ragazzi quasi una sfida per arrivare in tempo alla messa domenicale e, una volta alla settimana, al catechismo.Don Tomasz racconta di aver conosciuto molto presto il mondo della sofferenza, poichè già all’età di cinque anni gli era stato diagnosticato un tumore al ginocchio sinistro che si è poi rivelato benigno e risolto con un intervento chirurgico, anche se ha dovuto sopportare per mesi il piede ingessato. Un anno dopo e quindi ancora bambino, si è ritrovato in ospedale con l’appendicite aggravata da peritonite. Subita l’operazione, ha contratto una brutta ferita che non voleva guarire e ha dovuto sottoporsi quindi ad un altro intervento chirurgico piuttosto complicato e pericoloso.

 

Sua madre allora si è rivolta alla Madonna pregando in una chiesa dove, secondo la tradizione, qualche secolo prima, era apparsa la Vergine Maria. Chiedendo l’intercessione della Madonna, si è rivolta a lei con queste testuali parole: “Maria Santissima, mio figlio è malato ed ho paura che possa morire; se tu salvi la sua vita, io lo dono a te”. Così ricorda oggi Don Tomasz questo momento particolare della sua vita insieme a questa preghiera di sua madre della quale è venuto a conoscenza solo dopo molti anni, quando cioè è diventato sacerdote, a trent’anni. Don Tomasz fa memoria, inoltre, di un episodio alquanto significativo della sua vita, di quando, aveva dodici anni e nella sua casa, per tradizione, veniva accolta la statua della Madonna Pellegrina, con il quadro della Madonna Nera di Czestochowa. In quell’occasione, per la prima volta, racconta di avere preso in mano il libro della Bibbia e, aprendolo, la prima cosa che ha letto è stato il brano dal Vangelo di S. Giovanni : “Le nozze di Cana di Galilea”. Ricorda la sensazione e l’emozione di allora, perché, come Gesù dopo Cana, dette inizio alla sua vita pubblica, anche per lui quel brano ha segnato un inizio, l’inizio del cammino verso Gesù e anche se non può affermare che la sua vocazione al sacerdozio sia nata proprio in quell’occasione, può dire però con certezza che da quel momento la sua vita è cambiata.  Già qualche anno prima, racconta ancora, all’età di nove anni, in occasione della festa di Cristo Re, aveva acquistato in parrocchia un libretto con al suo interno una immaginetta di metallo con la scritta “Sant’Antonio”.


Non aveva mai sentito parlare di questo Santo, ma, da allora, quando voleva pregare, lo faceva con questa immagine finchè, un giorno, tra i libri di preghiera di sua nonna, trovò la preghiera a Sant’Antonio da Padova. Pur non sapendo che si trattava della stessa persona, gli piacque la preghiera trovata, la imparò a memoria e ogni giorno pregava davanti alla statuina. Arrivano gli anni del liceo, il distacco da casa, circa cinquanta Km, la solitudine in una città sconosciuta; spesso allora trovava rifugio e conforto in diverse chiese della città e rimase particolarmente affezionato a una di queste, dove in un angolo c’era la statua di Sant’Antonio; e al Santo chiedeva aiuto ogni volta che ne sentiva il bisogno come succederà per gli esami di maturità, anzi, pregando il Santo, dirà proprio che se avesse superato gli esami, quello sarebbe stato il segno di entrare in seminario. Superati gli esami benissimo, si è accorto, con grande tristezza, di avere perduto la statuina di Sant’Antonio; aveva ancora il libretto, ma dentro non c’era niente; dopo averla inutilmente cercata, ha concluso che il Santo, ormai, lo aveva accompagnato per tanto tempo e che da allora in poi lo avrebbe lasciato libero nelle sue scelte di vita. Aveva diciannove anni e anche se aveva fatto la promessa al Santo, ancora non si sentiva abbastanza maturo per entrare in seminario; decise così di fare il servizio militare e furono due duri anni di vita militare, inquadrato nell’esercito della Polonia ancora comunista.

 

Durante un periodo di licenza, tornò a casa dalla famiglia ed ebbe modo di fare una visita a Sant’Antonio, nella solita chiesetta; ancora indeciso sulla strada da prendere, una volta che si sarebbe congedato dal servizio militare, gli capitò, uscendo dalla chiesa, di prendere un giornaletto cattolico, intitolato “La Domenica”, che lesse durante il viaggio di ritorno alla sua compagnia militare. Fu colpito da un trafiletto trovato nell’ultima pagina e diretto ai giovani intenzionati a fare esperienza vocazionale. Vi si dava notizia di una associazione religiosa avente la sua sede a Monaco di Baviera; convinto che quell’avviso fosse proprio quello che ci voleva per lui, ancora incapace di prendere una decisione, scrisse una lettera all’indirizzo riportato sulla rivista per avere ulteriori informazioni e, dopo un mese, fu contattato da un ragazzo polacco facente parte dell’Associazione, informandolo che entro pochi giorni alcuni giovani dell’Associazione sarebbero venuti in Polonia per parlargli. Si incontrarono a Danzica e durante il colloquio gli fu spiegato che l’Associazione chiamata “Era” era stata fondata da un giovane sacerdote italiano che radunava giovani  di tutta Europa desiderosi di fare un’esperienza vocazionale, esperienza comunitaria che si sarebbe dovuta tenere in Italia, anche se per il momento non era stato deciso quale sarebbe stata la città che avrebbe dovuto accogliere i giovani.

 

Don Tomasz, ricorda ancora, accettò con entusiasmo l’invito, anche se gli rimanevano ancora sei mesi di sevizio militare; nel frattempo però cominciò a preparare i documenti necessari per il passaporto. Solo dopo il servizio militare, ricevette la lettera dall’Italia con la quale gli veniva comunicato il nome della città dove sarebbe dovuto andare. Incredibile, ma vero, anzi verissimo, si trattava della città di Padova, la città del suo Santo, il Santo che con la sua statuina lo aveva seguito fin da bambino e che ora lo chiamava nella sua città. Come non riconoscere il segno?  Come non vedere in tutto questo la mano del Signore che attraverso Sant’Antonio di Padova lo chiamava sulla sua strada? Ecco allora che Don Tomasz arriva un giorno in Italia, a Padova; da lì, in seguito, a Roma, la Città Eterna, dove compirà i suoi studi di filosofia e di teologia presso l’Università Lateranense, laureandosi con la tesi “Il senso religioso della sofferenza”.

 

A Roma farà la sua esperienza con i gruppi carismatici e con alcuni sacerdoti esorcisti; diventerà sacerdote non a Roma, ma in Slovacchia, ordinato dal suo Vescovo che era slovacco. Questi, però, lavorava in Vaticano e abitava a Roma; quindi Don Tomasz rimane con lui e svolge accanto a lui il suo ministero di sacerdozio. Purtroppo dopo un anno, il suo Vescovo si ammala e gli propone di fermarsi in altra diocesi per un anno o due per fare esperienza, in attesa della sua guarigione, guarigione che purtroppo non avverrà mai, perché muore quando già Don Tomasz stava a Fiesole. E’ così che il nostro sacerdote ha deciso di rimanere nella diocesi di Fiesole, dove il Vescovo Giovannetti, prima, il vescovo Meini, dopo, gli assegnano alcune parrocchie, finchè approda nella piccola parrocchia di Santa Maria a Sant’Ellero.

 

Matteo 9, 12-13


"Non sono venuto per i sani ma per i malati. Andate dunque ed imparate che significhi: Misericordia voglio e non il sacrificio"